“Scusatemi”. E Paolo Del Debbio scoppia a piangere in diretta tv, momento difficile

Le 10 cose che ho imparato nella vita, questo il titolo del libro scritto da Paolo Del Debbio ultimamente. Opera a cui tiene moltissimo e che ha presentato nello studio di Domenica In, lasciandosi esaustivamente intervistare da Mara Venier. Durante l’emozionante chiacchierata televisiva, è emersa la parte più profonda del conduttore.

Il giornalista, ex politico, autore e presentatore del piccolo schermo Paolo Del Debbio, ha voluto di mettere per iscritto tutte le esperienze che gli sono state d’aiuto nella vita. Le più rilevanti, indimenticabili. Delle lezioni che potrebbero essere d’aiuto anche ai suoi lettori. Una su tutte, riguardante il papà, ha commosso lui e il pubblico.

paolo del debbio lacrime piange domenica in padre


Paolo Del Debbio, lacrime a Domenica In

“Il punto centrale è la felicità con poco”, ha cominciato Paolo Del Debbio durante Domenica In. “Vivere con due persone, babbo e mamma, che avevano passato la guerra. Avendo avuto il niente, il poco era già tanto. Questa cosa non è che ce la spiegavano, la vedevamo. Erano sempre felici. Avevano rispetto di quello che avevamo. Se lasciavi nel piatto qualcosa da mangiare a pranzo, te lo ritrovavi a cena. E poi il giorno dopo. Ricordo un piatto di carciofi che ho mangiato per due giorni e mezzo, poi li ho finiti o diventava un incubo”, ha proseguito ancora.

Poi il saggista si è concentrato sulla sua figura paterna, l’amato babbo e la sua (e loro) terribile esperienza che lo strappò dalla famiglia per tanto. Si chiamava Velio e, nel 1943, fu deportato in un campo di concentramento. Due lunghi anni, in cui si seppe nulla di lui. Oramai lo si credeva morto in guerra e poi, un giorno, fece ritorno. “Arrivò nel campo di concentramento di Luckenwalde nel ’43 e fu liberato nel ’45 dagli Alleati. Fu preso che era militare in Grecia. Arrivò a Lucca ad agosto con mezzi di fortuna”, ha iniziato con grande emozione Del Debbio.

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“Gli americani, appena liberati, gli davano da mangiare. Ma, se mangiavano anche solo cioccolata, rimettevano tutto subito. Non erano più abituati. Mio papà pesava 40 chili. Puoi immaginare. Quindi gli davano da mangiare piano. Quando gli americani li liberarono, prima li ricostituirono o non ce l’avrebbero fatta. Poi, tramite camion, mio padre arrivò a Verona. Da Verona a Lucca, a piedi lui ed un suo amico. 400 chilometri. C’era tutto il paese intorno che lo aspettava. Erano due anni che non si avevano notizie di loro, quando mandavi i pacchi col cibo al campo di concentramento, li davano ai cani. Quando arrivò mamma, tutti andarono via per lasciarli soli”, ha aggiunto.

Un racconto commovente, tanto che anche lo stesso narratore, non ha potuto trattenere le lacrime. Il papà non ha mai perso la dignità durante la terribile prigionia. Questa la lezione chiave. “Non hanno mai perso la dignità. Si alzavano alle 6, faceva un freddo bestia. C’era la stufa ma gli aguzzini delle SS non l’attivavano. Andavano al lavandino, rompevano il ghiaccio e si lavavano. Gli avevano sottratto la libertà, ma loro avrebbero continuato a curarsi: ‘Mi faccio vedere con la schiena dritta anche se mi ammazzeranno’, pensavano di finire nella camera a gas. Certi si abbandonavano diventando pazzi. Gli ebrei finirono nei campi di sterminio”, ha infine concluso.

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